Corriere di Ragusa Cultura Biblica

L’Intelligenza Artificiale – Un Bene o un Male?

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Un Bene o un Male? 

L’invenzione del codice di numerazione binaria di Leibniz nel sec.XVII, costituisce il fondamento del linguaggio moderno di programmazione dei computer, sfociato nel corso degli anni nello sviluppo delle “tecnologie artificiali”, grazie alle quali l’uomo ha raggiunto traguardi impensabili fino a qualche decennio fa, non ultimo ad esempio, la creazione di “robot” dagli aspetti umanoidi che riescono a simulare il linguaggio umano e a rispondere correttamente a precise domande e a sollecitazioni esterne create dall’uomo. Sono strumenti tecnologici che vedendoli all’opera sembra che siano in grado di interloquire e di capire cosa gli diciamo.

Oggi, giustamente, c’è un grande interesse attorno all’Intelligenza Artificiale (IA), una potente tecnologia informatica, una immensa “intelligenza meccanica” che, grazie alla possibilità di analizzare grandi quantità di dati, tenta di replicare le potenzialità della mente umana come il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione, con l’intento di migliorare la qualità della vita, ad esempio nel campo dell’innovazione medica, nel campo dello sviluppo e dell’automazione industriale, e così via.

Con l’inizio del terzo millennio constatiamo che la scienza inizia a progredire velocemente in tutti i campi, sia nella ricerca delle “tecnologie artificiali”, sia nei riguardi delle scienze che studiano il funzionamento delle “tecnologie naturali” e dei vari “sistemi biologici”. Dalla velata competizione tra i due sistemi, quello “artificiale”, legato all’enorme capacità dei computer di accumulare ed elaborare dati, e quello “naturale”, legato alle elaborazioni mentali scaturite dalla intelligenza dell’uomo, risulta indiscussa la supremazia dei “meccanismi naturali” sulle “tecnologie artificiali”, poiché queste ultime non sono in grado di emulare ciò che esiste in natura o a riprodurre le specifiche e peculiari potenzialità dell’intelligenza umana.

Possiamo rilevare come alla base della super potenza dei computer e della “Intelligenza Artificiale” ci sia un codice, il Codice Binario, così come alla base dell’ “Intelligenza Umana” ci sia un altro codice, il DNA. Entrambi i codici sono in grado di generare risultati sorprendenti e stupefacenti. Ma dobbiamo osservare che, mentre il codice binario, inventato dall’uomo, è costituito dalla sequenza di solo due simboli 0 e 1, il codice del DNA, che sta alla base della vita (animale e vegetale), è invece  basato su quattro elementi chiamati ‘basi’ (Adenina, Timina, Guanina, Citosina). Si può già intuire che “quattro” invece di “due”, significa in origine che i due codici possono essere combinati in modi diversi, con una notevole differenza di potenziale nella elaborazione di dati e nelle capacità di creare e trasmettere informazioni. Effettivamente, non ci può essere alcuna competizione nelle capacità di creare variabili. Il codice binario, utilizzando solo due variabili, non sarebbe in grado di creare abbastanza combinazioni per codificare molecole organiche semplici, da cui sembra sia originata la vita. Durante l’evoluzione la natura ha progressivamente aumentato il livello di complessità, partendo dai quattro elementi di base. Ha creato  delle unità di basi formate a gruppi di tre (le cosiddette triplette), portando così a  un totale “24 possibilità combinatorie” (dalla statistica si evince che 4 elementi combinati a 3 per volta portano a 24 permutazioni). Riteniamo corretto affermare che il codice binario dei computer, basato su numeri, da solo non sarebbe sufficiente per spiegare l’origine della vita, mentre il codice del DNA potrebbe essere stato essenziale per l’evoluzione e lo sviluppo della vita, anche se di certo la vita è il risultato di un insieme complesso di fattori ancora oggi da scoprire nella sua interezza. A tutto questo va aggiunto e considerato che il codice del DNA, oltre ad offrire una maggiore potenzialità di elaborazione rispetto al codice binario, si è evoluto nel tempo come un meccanismo per trasmettere informazioni genetiche piuttosto che come una semplice piattaforma di elaborazione dati.

Questo confronto tra i due codici, puramente “irrealistico” e fondamentalmente  “provocatorio”, serve a mettere in evidenza i limiti invalicabili di tutti gli strumenti altamente tecnologici artificiali rispetto al cosiddetto “sistema tecnologico naturale”. L’intelligenza artificiale è stata creata in origine per progettare sistemi hardware pilotati da potenti e complessi programmi di software in grado di governare macchine capaci di fornire prestazioni strabilianti. Per questo motivo, ad un esame superficiale, queste macchine super potenti potrebbero apparire in grado di eguagliare caratteristiche e peculiarità della mente dell’uomo, o addirittura in grado di sostituirsi all’intelligenza umana, ma in realtà l’unica intelligenza che si può attribuire alle macchine è sostanzialmente l’intelligenza del suo programmatore.

Come afferma il fisico Federico Faggin, inventore del microchip e della tecnologia degli schermi “touch”, sui cui studi si è basata e sviluppata tutta l’Intelligenza Artificiale, alla base di queste macchine sussistono solo parti inerti in grado di generare solo ‘segnali elettrici’ che a loro volta possono produrre altri ‘segnali elettrici’ o altre conseguenze fisiche come forza o movimenti, ma mai sensazioni o sentimenti. Si tratta solo di imitazioni, non c’è nessuna consapevolezza, non esiste alcuna auto-riflessione cosciente; nessun dispositivo del genere potrà mai avere coscienza di sé perché risponde in automatico ad un meccanismo elettrico e a un software gestionale istruito da una o più persone che gli fanno dire e fare solo quello per cui è stato programmato.

Dobbiamo affermare con forza e con la massima chiarezza che esiste un divario ed una differenza insormontabile tra Intelligenza Artificiale e Intelligenza Umana. Mentre la prima si fonda su un numero finito di componenti “inerti e statici” creati dalla intelligenza dell’uomo, che si possono montare e rimontare più volte mantenendo la stessa configurazione e la medesima ripetibilità funzionale, la seconda, invece, si fonda su componenti “vivi”, le cellule –le unità di base della vita– che non si possono né smontare né rimontare, perché non sono come le leve e gli ingranaggi di una macchina classica. Le cellule di un organismo vivente sono vive fin dalla nascita, sono in uno stato “dinamico”, in continuo cambiamento ed evoluzione. Esse, infatti, obbediscono agli ordini impartiti da un codice genetico che è alla base della vita, il DNA, e che interagisce continuamente e si adatta perfettamente ad ogni sollecitazione o situazione nuova proveniente dal mondo esterno. Questa peculiare caratteristica consente agli esseri umani di elaborare e diversificare la risposta ad ogni cambiamento di stato, di adattarsi repentinamente in ogni circostanza a situazioni nuove e improvvise, rendendoli alla fine capaci di affrontare liberamente situazioni imprevedibili anche in ambienti ostili. Al contrario i “robot” interagiscono con l’ambiente esterno in maniera standardizzata tramite dei “sensori”, strumenti che gli consentono solo di modificare i propri programmi di funzionamento di fronte a determinate situazioni. I programmatori di software possono addestrare abilmente le loro macchine ad esprimere determinati concetti e non altri, possono integrare nei robot dei sensori per connetterli con il mondo esterno, facendoli sembrare sempre più simili ad una persona. Questo può portare le persone a fidarsi ciecamente di tali tecnologie che appaiono intelligenti, ma potrebbero invece causare errori, anche gravi, compromettendo la sicurezza delle stesse.  L’intelligenza artificiale, inoltre, in mano a individui senza scrupoli, spinti dalla bramosia di potere e privi di una retta coscienza, potrebbe essere utilizzata in modo incontrollato e irresponsabile, non per il progresso della società e del genere umano.                                                                                                                                                 Le macchine dovrebbero costituire solo un mezzo di integrazione, per aiutare l’uomo a migliorare la qualità della sua vita, soprattutto nel lavoro e in tutte le attività sociali, culturali e di apprendimento. E perché no, la nuova tecnologia potrebbe essere anche un motivo per risvegliare la consapevolezza della indubbia “spiritualità” insita nella natura dell’essere umano.

In conclusione, bisogna mettere da parte l’idea assurda e dissennata che le macchine in un futuro potrebbero sostituire totalmente l’uomo. Solo una persona prettamente materialista può pensare che la mente umana possa essere battuta da una macchina, e che sia solo una questione di potenza di calcolo, magari illudendosi di poterle affidare un ruolo decisionale.

La coscienza, infatti, non potrà mai essere sostituita da un algoritmo, ed è questo che fa la differenza tra un robot e un essere umano. Risulta allora chiaro che nessuna “Intelligenza Artificiale”, anche la più evoluta, sarà in grado di sostituire l’uomo, né potrà mai emulare quel numero elevato di altre “Intelligenze Naturali” tipiche e peculiari dell’uomo, come il libero arbitrio, la coscienza di sé, il pensiero, la creatività, le emozioni, i sentimenti, le sensazioni, la gioia, il dolore, e così via.

 

 

Condividi questo