Lo scenario dei Vangeli

Corriere di Ragusa Cultura Biblica

Lo scenario dei Vangeli

Per accostarsi ai Vangeli è indispensabile non solo collocarli nel loro contesto storico, culturale, politico e religioso dell’epoca, ma è necessario, anche, avere una conoscenza dei luoghi.  Altrimenti si rischia di non capire la narrazione degli Evangelisti e il senso delle parole pronunciate da Gesù.

 LO SCENARIO DEI VANGELI

 L’ambiente geografico, storico e politico

Lo scenario geografico descritto nei Vangeli è quel tratto della costa mediterranea, oggi chiamata Palestina, che unisce la Siria meridionale con l’Egitto. L’intera regione è divisa da un profondo avvallamento, una profonda depressione provocata da una frattura geologica dove scorre il fiume Giordano che, dopo aver formato il lago Tiberiade, si immette nel Mar Morto. Questo in realtà è un lago salato che non ha emissari.

Ai tempi di Gesù, geograficamente questo territorio era distinto al Nord dalla Galilea, al centro dalla Samaria e a Sud dalla Giudea, con capitale Gerusalemme. La Giudea rappresentava il fulcro del giudaismo, ma si trovava in aperto contrasto religioso con la Samaria, la cui religione di origine asiatica era tendenzialmente idolatra.

Il periodo romano della storia della Palestina fu dominato dalla dinastia degli Erodi. Nel 63 a.C. il generale romano Pompeo, entrato a Gerusalemme per sedare i conflitti e le lotte intestine generate dalla monarchia asmonea, pone fine per sempre all’indipendenza del paese. I romani insediarono al governo del popolo d’Israele uno straniero, l’idumeo Erode.

Erode il Grande, grazie al sostegno ricevuto da Roma, dal nulla innalzò nel 40 a.C. il suo trono a Gerusalemme. Fu chiamato il <il grande> per lo splendore del suo regno, per la magnificenza delle opere architettoniche, per l’arditezza delle fortificazioni, per la sagacia nell’amministrazione. Abile politico, eliminò tutta la vecchia aristocrazia e ne creò una nuova di tendenza sadducea, interamente prona ai suoi voleri. Mitigò l’ostilità farisaica mantenendo un sostanziale rispetto per la legge giudaica, facendo costruire per gli Ebrei un nuovo grande e imponente Tempio a Gerusalemme. Tentò anche di tenere a freno i ceti popolari, ma non seppe conquistarsi le simpatie del popolo ebraico che nutriva nei suoi confronti un odio implacabile. Uomo d’inaudita crudeltà, era ossessionato dall’idea di congiure e minacce contro il suo trono. Non esitò a eliminare i concorrenti asmonei: uccise dapprima il cognato Aristobulo, poi il Sommo Sacerdote Ircano, la stessa moglie Marianne. Fece giustiziare anche i due figli avuti da Marianne. Erode non riuscì a stabilire un rapporto amichevole con i giudei e fu avversato soprattutto dai farisei, anche se si guardò bene dal molestarli conoscendo il prestigio che godevano presso il popolo.  Era un uomo che odiava tutti, ma sapeva bene d’essere altrettanto ricambiato, e che la sua morte avrebbe portato vivissimo giubilo fra i sudditi. Morì nel 4 a.C., all’età di circa settanta anni, a causa di una malattia che gli procurò atroci sofferenze.  Alla sua morte i suoi successori non ebbero né la sua forza né le sue capacità politiche. I suoi tre figli si spartirono il regno: Erode Antipa ereditò la Galilea, Archelao aveva ricevuto la Giudea, la Samaria e l’Idumea, Filippo i territori al nord della Perea. Archelao, uomo d’indole crudele e tirannica, fu incapace di governare la Giudea. Fu destituito e l’intera regione della Giudea passò sotto l’amministrazione diretta di Roma che inviò dei procuratori. Erode Antipa invece mantenne la reggenza più a lungo. Salì al potere nel 4 a.C., quando aveva diciassette anni, e lo resse fino al 40 d.C. Al pari del padre, usò verso l’imperatore di Roma la massima adulazione per riceverne favori personali. Amante dei fasti di corte, subì il fascino di una donna ambiziosa, la famosa Erodiade, moglie di suo fratello Erode Filippo che abitava a Roma. Erodiade si trasferì presso Antipa, trascinando con sé la figlia Salomè, avuta dal suo primo marito.

Questo periodo storico fu caratterizzato da tumulti che scoppiarono un po’ ovunque nel territorio giudaico, tumulti che presero i connotati di una rivolta politico-messianica contro la potenza romana occupante. La svolta decisiva sembra essere stata la riduzione della Giudea e della Samaria a provincia romana nel 6 d.C.  Secondo lo storico Giuseppe Flavio fu in quella occasione che, dinanzi al censimento della popolazione voluto dai romani per introdurre nella nuova provincia il tributo, scoppiò la rivolta capeggiata da Giuda di Gamala, detto il Galileo.

Il potere politico era sotto il controllo di funzionari romani, prefetti o procuratori, fra cui Ponzio Pilato, il quale esercitò brutalmente le sue funzioni tra il 27 e il 37 d.C. Uomo crudele e vizioso, disprezzava i Giudei per averlo costretto a togliere i vessilli con l’effigie dell’imperatore dall’interno del Tempio di Gerusalemme. Il prefetto romano risiedeva normalmente a Cesarea Marittima, ma per le grandi festività si trasferiva a Gerusalemme per prevenire disordini e sommosse. Gli era riservato il diritto di vita o di morte. Per quanto riguarda il culto e la religione, Roma lasciava piena libertà. Per non provocare il risentimento dei giudei, che in ossequio alla legge mosaica non tolleravano l’esposizione d’immagini, i soldati romani evitavano di spiegare le insegne a Gerusalemme. Pilato, al contrario, quando fu insediato nella Città Santa entrò con le effigi dell’imperatore innescando un clima di tensione che andò via via aggravandosi. Il grado d’esasperazione raggiunto dalle masse ebraiche, sottomesse al tirannico potere dei procuratori romani, alimentò sempre più le speranze dell’avvento di un Messia che avrebbe dovuto liberare Israele dal giogo dei romani.

 

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