Il lavoro redazionale degli Evangelisti

Corriere di Ragusa Cultura Biblica

Il lavoro redazionale degli Evangelisti

IL LAVORO REDAZIONALE DEGLI EVANGELISTI

Gesù non lasciò nulla di scritto, quindi, per conoscere il suo insegnamento è necessario riferirsi alla testimonianza dei discepoli, costituiti da Gesù per la missione universale prima della sua ascensione in cielo.

Gli Evangelisti, più che narratori, vanno ritenuti come interpreti della tradizione apostolica del tempo su Gesù, condizionati sicuramente dalle vicende storiche e religiose della loro epoca.

Gli Evangelisti raccontano l’evento Gesù Cristo, presentato come colui che per primo si proclama come il messaggero del ‘lieto annuncio’ in Palestina, dando la notizia del Regno di Dio ai poveri, e portando così a compimento la grande speranza biblica della salvezza promessa da Dio negli ultimi tempi. Essi riferiscono l’intera attività di salvezza annunciata da Gesù Cristo ed attestata autorevolmente dagli apostoli, suoi amici e seguaci: un gruppo di uomini del tutto ordinari, né potenti, né molto istruiti, né abili nel parlare, ma dotati di grande temperamento e fede verso il loro maestro.

Gli Evangelisti hanno messo per iscritto vive testimonianze raccolte dalle tradizioni orali riguardanti la predicazione di Gesù, le sue parole e le sue opere, tutti elementi che nella vita movimentata delle prime comunità cristiane avevano già assunto l’espressione della parola viva che nutriva la loro fede. Questo non vuol dire che gli evangelisti vanno considerati come semplici raccoglitori di materiale preesistente su Gesù. Ciascuno di questi racconti, desunti dalla tradizione, sono stati reinterpretati creativamente secondo una propria prospettiva di fede alla luce della morte e risurrezione di Gesù, come attuazione del “Piano” di Dio per la Salvezza dell’uomo, annunciata nelle promesse profetiche delle Antiche Scritture.

I Vangeli sono libri religiosi in grado di interpellare il lettore allo scopo di suscitare la fede nella persona del Cristo, Salvatore del mondo, e di far giungere l’annuncio della salvezza attuata da Cristo ad un pubblico più largo possibile. Rappresentano una documentazione scritta tardiva e parziale della testimonianza e della predicazione apostolica. Non si possono considerare documenti storici e biografici su Gesù secondo la concezione storiografica moderna, perché i redattori dei Vangeli non erano degli scrittori che, lavorando su documenti debitamente repertoriati, si erano prefissati di scrivere la storia completa di Gesù di Nazarèt, dalla nascita alla morte, indicandone le circostanze precise di tempo e di luogo. Ogni parola evangelica è indissolubilmente legata alla fede dei testimoni che l’hanno trasmessa. Gli evangelisti sono stati mossi più da criteri teologici che storico-geografici. Hanno considerato secondario, cioè di poca importanza ai fini della fede, raccontare con precisione gli avvenimenti della esperienza terrena di Gesù, ponendo al centro la loro testimonianza. E’ peculiare che essi non si dilunghino sulle origini di Gesù, sulla sua formazione, sul suo carattere o sulla sua personalità. E’ come se avessero considerato l’elemento storico come “l’involucro” che conteneva “l’evento” (il kerigma): due aspetti fra loro complementari, e nello stesso tempo inscindibili, da cui scaturisce l’impossibilità di separare il “Gesù storico”, ricostruito con i soli strumenti dell’analisi storica, dal “Gesù della fede”, ricostruito alla luce del Mistero della Risurrezione.

Di là delle personali motivazioni che hanno mosso ciascun evangelista, lo spirito di lettura dei Vangeli deve essere diretto a non perdere di vista il senso unitario, spirituale e teologico, che accompagna i quattro evangelisti, per quanto diverse e singolari possano apparire le loro rispettive prospettive catechetiche.

La “preoccupazione ansiosa”, quasi ossessiva, di dimostrare a tutti i costi la storicità dei Vangeli potrebbe sfociare in una mentalità intransigente e fondamentalista, rifiutando di considerare nei Vangeli altri tipi di linguaggi se non quello storiografico.

Per comprendere il mistero della rivelazione, che sta alla base della lettura dei Vangeli, è necessario rinunciare ad una metodologia basata sulla razionalità: né scienza, né filosofia sono strumenti validi per raggiungere Cristo. L’incomprensibilità del mistero è un invito a riconoscere il limite della mente umana; attesta che l’uomo con le sue sole forze non può penetrare il mistero di Dio. Ciò non umilia la ragione ma, mettendola in uno stato di ascolto, potrà consentire a ciascuno di aprirsi alla fede e alla sua accoglienza. Da qui nasce l’esigenza di quel continuo “processo di rilettura dei testi evangelici” mirato a coglierne il mistero profondo, nella speranza che possa costituire motivo e strumento per illuminare e orientare la propria esistenza.

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