Lavoro: in Italia 9 su 10 sono insoddisfatti e il 97% lo abbandona senza il “Piano B”. Soltanto l’11% ha trovato il perfetto equilibrio

Corriere di Ragusa Nazionale

Lavoro: in Italia 9 su 10 sono insoddisfatti e il 97% lo abbandona senza il “Piano B”. Soltanto l’11% ha trovato il perfetto equilibrio

9 persone su 10 sono insofferenti verso il proprio lavoro e il 43% decide di abbandonarlo. Di questi, ben il 97% lo fa senza il cosiddetto “Piano B”, ovvero un’alternativa. A soffrire maggiormente sono le donne e gli under 27 (77%). E’ quanto emerge dal nuovo studio dell’Unicusano. Inoltre, su 25 milioni di occupati (fonte Istat), soltanto l’11% ha trovato il giusto equilibrio fra sfera privata e sfera lavorativa, ovvero poco meno di 3 milioni di lavoratori. Lo studio Unicusano prende poi in considerazione alcuni fenomeni recenti che dall’America sono giunti anche in Italia come la Great Resignation (grandi dimissioni), il job-creeper o il quiet-quitting. Boom anche di nomadi digitali per un mercato del valore di oltre 700 miliardi di dollari.

Ciò che ha pesato maggiormente sulle spalle dei lavoratori e li ha costretti ad assentarsi ripetutamente dal lavoro, fino a lasciarlo del tutto, è legato alla sfera psicologica, e in particolar modo al burnout, quello stato di esaurimento nervoso a livello fisico, mentale ed emotivo causato da una serie di fattori legati proprio al lavoro. Un malessere che ha toccato la salute di quasi 5 italiani su 10. Per l’Unicusano alla base della scelta di darsi alla fuga ci sono diverse motivazioni: si va dall’insoddisfazione personale alla ricerca di migliori condizioni economiche, dal desiderio di una maggiore flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro alla rottura dei rapporti interpersonali con i colleghi. Ma soprattutto gli italiani ricercano un nuovo equilibrio, una nuova dimensione fra vita privata e vita lavorativa, oggi troppo sbilanciata verso quest’ultima.

Nel Belpaese sono recentemente esplosi anche altri fenomeni preoccupanti, stando allo studio dell’Unicusano. Tra questi spicca il quiet quitting: oltre 2 milioni di lavoratori si limitano a fare lo stretto necessario, non sentono valorizzati i propri talenti, non sono coinvolti emotivamente nell’attività lavorativa, non credono nei valori, messaggi, prodotti e servizi dell’azienda. Altro ancora è job creeper che colpisce il 6% delle persone schiacciate dal peso del lavoro a tal punto da fondere insieme le 2 sfere, lavorativa e privata.

Ad alimentare il fenomeno delle Grandi Dimissioni sono proprio i giovani fra i 24 e i 35 anni che gli economisti hanno ribattezzato flow generation: giovani dal futuro incerto, lontani dal concetto di lavoro a tempo indeterminato, in balìa delle nuove professioni e con un’identità mutevole a seconda delle esigenze e delle sfide del futuro digitalizzato. Figli della crisi del 2008 e di chi spendeva più di quanto potesse, hanno trovato nel nomadismo digitale la loro forma più pura di espressione. Oggi sono 35 milioni in tutto il mondo con un valore economico di 787 miliardi di dollari. Lavorano da remoto, da qualsiasi parte del mondo, rappresentando dunque al momento la risposta concreta ad una precarietà auto imposta.

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