Confermato l’ergastolo per Messina Denaro: fu uno dei mandanti delle stragi del 92

Corriere di Ragusa Sicilia

Confermato l’ergastolo per Messina Denaro: fu uno dei mandanti delle stragi del 92

La corte d’assise d’appello di Caltanissetta ha confermato la condanna all’ergastolo del boss Matteo Messina Denaro, accusato di essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il collegio, presieduto dal giudice Maria Carmela Giannazzo, ha accolto la richiesta avanzata dai procuratori generali Antonino Patti, Fabiola Furnari e Gaetano Bono. Messina Denaro ha rinunciato a collegarsi dal carcere in cui è detenuto per ascoltare il dispositivo.

Un processo e una condanna pesanti, ancora più pesanti per Matteo Messina Denaro, perché subiti da detenuto dopo una trentennale latitanza. Sulle stragi del 1992 le indagini non si sono mai fermate e questi 31 anni sono stati costellati, tra ombre e misteri, da diversi processi alla ricerca della verità. Alla sbarra anche Matteo Messina Denaro, ritenuto uno dei mandanti degli attentati in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli 8 agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Emanuela Loi e Eddie Walter Cosina.

Catturato in una clinica di Palermo il 16 gennaio di quest’anno, non si mai presentato in udienza. L’ex superlatitante non era mai stato processato per le bombe del 1992. In primo grado è stato condannato all’ergastolo. Il Pg di Caltanissetta, Antonino Patti, aveva chiesto la conferma della sentenza. E a 31 anni dalla strage di via D’Amelio ecco la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta che ha inflitto il carcere a vita. Un processo iniziato quando il pupillo di Totò Riina era ancora latitante e dopo la cattura quella sedia del supercarcere di L’Aquila, dove è detenuto al 41 bis, è rimasta sempre vuota.

Secondo la procura di Caltanissetta «la decisione di uccidere i due giudici non fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato e che consentì alla follia criminale del capo di Cosa nostra di continuare nel proprio intento: anzi, più che di consenso si potrebbe parlare di totale dedizione alla causa corleonese». Quando venne emessa la sentenza di primo grado, il 21 ottobre 2020, Messina Denaro era ancora latitante.

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