Padre Nello dell’Agli non è più sacerdote: dimesso dallo stato clericale. La sua verità in una nota per chi gli ha dato fiducia

Corriere di Ragusa Attualità

Padre Nello dell’Agli non è più sacerdote: dimesso dallo stato clericale. La sua verità in una nota per chi gli ha dato fiducia

RAGUSA – Padre Nello Dell’Agli non è più sacerdote su decisione del Vaticano: in pratica è stato dimesso dallo stato clericale. L’ha comunicato il vescovo La Placa ai sacerdoti della Diocesi di Ragusa. Dell’agli, fondatore della Fraternità di Nazareth, è ora un laico. Psicologo e finora sacerdote, Dell’Agli è stato il fondatore della comunità Fraternità di Nazareth, che aveva sede a Ragusa. Nel 2015 alcune contestazioni portarono alla prima visita canonica nella comunità. Poi fu nominato un commissario pontificio dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e infine u avviato il processo canonico, chiesto dalla Congregazione vaticana e affidato al tribunale ecclesiastico di Napoli. Nel 2021 fu decisa la soppressione della Fraternità di Nazareth che era stata riconosciuta a livello diocesano dal vescovo del tempo Paolo Urso. Ma fu lo stesso Urso ad avviare poi i primi accertamenti sulla situazione reale della fraternità, accertamenti continuati poi dai suoi successori.

Con la soppressione della comunità furono decise anche alcuni provvedimenti a carico di padre Nello Dell’Agli, come il divieto di esercitare il ministero in pubblico (pur rimanendo sacerdote) e con l’invito a lasciare temporaneamente Ragusa e a trasferirsi in altra località. Dell’Agli però non ha obbedito ed è rimasto a Ragusa, nella sede della Fraternità ormai soppressa, una villa nobiliare donata. Dopo 2 anni è arrivato il provvedimento definitivo, con la “riduzione allo stato laicale”. Da questo momento Dell’Agli non è più sacerdote. E in queste ore la notizia è stata comunicata ai sacerdoti. Contemporaneamente, Dell’Agli ha diffuso una lunga nota, in cui espone la sua verità “Rivolta a tutte quelle persone, credenti e non credenti, che hanno guardato a me con fiducia”, si legge nella nota.

“Nel 2017 e poi nel 2018 – si legge testualmente nella nota – ho ricevuto 2 precise richieste di testimonianza: una dall’autorità vaticana riguardo a una nomina episcopale, l’altra dalla procura di Roma in un processo intentato da una suora, contro lo stesso ex candidato all’episcopato. Dopo tali mie testimonianze, la fraternità di Nazareth è stata prima commissariata e poi sciolta e io sono stato sottoposto a un processo ecclesiastico, condotto non da un giudice naturale, ma da un tribunale ecclesiastico di primo livello, predisposto ad hoc. La sentenza, oltre ad essere contraddittoria con le sue stesse premesse, assurda ed iniqua, è immotivata: i giudici non dànno alcuna spiegazione della condanna, fatto giuridicamente gravissimo. Si tratta di una sentenza che avrebbe dovuto essere dichiarata nulla.

Sono stato accusato di disobbedienza all’ordinario (al Vescovo).Mons. Urso ha testimoniato che ho sempre obbedito: «Posso dire che Sebastiano, finchè sono stato Vescovo a Ragusa, ha seguito le indicazioni che io gli avevo dato». Eppure sono stato condannato. Sono stato accusato di violazione degli obblighi di una pena (in verità un provvedimento preso dal Vescovo Urso): dal 2015 farmi seguire, insieme a tutta la fraternità di Nazareth, dal Vescovo Calogero Peri come supervisore e accompagnatore. Il Vescovo Peri ha testimoniato che io e tutta la fraternità ci siamo fatti seguire da lui: «posso dire che all’indicazione che avevano ricevuto di farsi guidare da me tutti i membri della comunità sono rimasti sempre fedeli. Infatti, sempre con cadenza regolare sono venuti da me per confrontarsi con me». Eppure sono stato condannato.

Sono stato accusato di abuso della potestà ecclesiastica per avere avviato la fraternità di Nazareth. Mi sarei spacciato per un religioso. In verità, in tutto ho seguito le indicazioni datemi dal Vescovo mons. Urso, che ha eretto la fraternità di Nazareth come associazione privata di fedeli e che ne ha approvato la regola (compresa la possibilità di portare un abito monastico). Eppure sono stato condannato.

Sono stato accusato di attività affaristica e commerciale. Il capo di accusa prevede esercizi commerciali quali l’ufficio di export-import, la costituzione di società immobiliari, di società finanziarie o assicurative. Anche questo capo di accusa è stato costruito sul nulla: non ho mai fatto nulla di tutto questo. Eppure sono stato condannato. Nella sentenza arriviamo a leggere questo incredibile assurdo del promotore di giustizia (l’equivalente del pubblico ministero): “non vi sono riscontri di movimenti di contanti che sicuramente ci saranno stati”. Misteriosamente, qualcosa su cui non vi sono riscontri è diventato sicuro.

Sono stato accusato di calunnia in merito a una mancata ordinazione episcopale. In verità, ho solo risposto a una ben precisa richiesta vaticana dopo che un’ex suora aveva scritto al Papa denunziando una lunga relazione sessuale con il candidato (dallo stesso poi confermata presso il tribunale penale di Roma). Successivamente un’altra donna, una suora, ha denunziato lo stesso ex candidato al tribunale penale di Roma per abuso sessuale in terapia e l’accusato è stato prosciolto per denunzia tardiva.

Sono stato accusato di gravi e reiterati atti sessuali. Qui siamo al super assurdo. Vi può essere condanna solo se vi è pedofilia, violenza, ricatto o persistenza scandalosa in rapporti sessuali completi in caso di concubinato (questo perché la chiesa distingue, chiaramente, tra peccato e reato). Nessuno mi ha accusato di questo. Eppure sono stato condannato. Non solo. Nessuno mi ha mai accusato nemmeno di rapporti sessuali. E nessuno mi ha mai accusato nemmeno di proposte sessuali. Solo una donna mi ha accusato di baci e toccamenti, da vestiti. Senza prove. Da me e da altri testimoni, anche dell’accusa, smentita. In ogni caso si tratta di un’accusa non riconducibile al capo di imputazione, in quanto, ripeto, questo prevede pedofilia, ricatto, violenza, o persistenza scandalosa in rapporti sessuali completi in caso di concubinato. Riporto la testimonianza di mons. Urso: «Gli abusi che mi erano stati denunciati consistevano essenzialmente in abbracci. (…) Nelle accuse che ricevetti ebbi l’impressione che c’era in chi accusava un tentativo di vendetta. A me sembrava che ci fosse qualcuno che voleva far pagare a Sebastiano qualcosa».

Sono stato accusato anche di assoluzione del complice nel peccato turpe e di violazione del sigillo sacramentale. Il tribunale di primo livello aveva chiesto la scomunica latae sententiae. Ma su tali delicta graviora non ha avuto competenza di emettere sentenza. Così, di questi 2 capi di accusa si è occupata la Congregazione per la dottrina della fede concludendo che non vi sono gli elementi minimi per avviare un processo. Per cui sono stato prosciolto. Quindi: il tribunale di primo livello (quello costruito ad hoc) che mi ha condannato per gli altri capi di accusa ha chiesto la scomunica, mentre la Congregazione per la dottrina della fede (il tribunale superiore per i delitti più gravi) mi ha prosciolto perché non vi sono gli elementi minimi per avviare un processo. Non fa riflettere la cosa?

Non ho potuto presentare appello per nessuno dei capi di accusa su cui il tribunale di primo livello mi ha condannato, perché il Papa ha posto la firma sulla sentenza per l’approvazione specifica. Così sono stato privato del diritto umano e universale all’appello. Un tribunale predisposto ad hoc all’inizio e l’appello negato alla fine. La mia condanna è stata iniquamente voluta e perseguita. Ho dovuto subire in silenzio calunnie, chiacchiericcio, accuse assurde. Ma da questo momento in poi, anche se contrariamente al mio carattere – conclude la lunga nota di Nello Dell’Agli – sarò costretto a sporgere querela contro chiunque contribuisca a diffamarmi”.

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