Invece della promessa stabilizzazione, attesa ormai quasi da un decennio, ai circa 280 lavoratori Asu dei beni culturali della Sicilia, di cui una trentina in provincia di Ragusa, hanno di nuovo diminuito le ore lavorative settimanali da 36 a 20. Il motivo? Un pasticcio della Regione, che, non si capisce bene in base a quale ratio, ha destinato agli altri lavoratori Asu delle cooperative sociali buona parte del fondo di 3 milioni e mezzo previsto nella Finanziaria di recente approvata in aula e che era a malapena bastevole per tutto il 2023 a garantire il monte orario a 36 ore solo agli Asu dei Beni culturali.
Perché tutto questo? Se lo chiedono i diretti interessati, che hanno organizzato una 3 giorni di manifestazione davanti palazzo d’Orleans a Palermo. Vogliono vederci chiaro sulla loro situazione e pretendono il ritorno a 36 ore per tutto il 2023, anche se gennaio e febbraio andranno quasi certamente persi. Ma soprattutto pretendono certezze sulla agognata stabilizzazione. Al momento i lavoratori Asu dei beni culturali prendono 600 euro nette al mese, che raddoppierebbero con il ritorno alle 36 ore, e a cui si aggiungerebbero i contributi previdenziali e tutte le altre agevolazioni che comporta la stabilizzazione, quando sarà concretizzata. Ma il punto di domanda è proprio questo: quando? In ogni caso è emblematico che mai prima d’ora era accaduto in Sicilia che si bloccasse l’iter, con l’ulteriore aggravante che si è addirittura tornati indietro, stante la diminuzione del monte ore lavorativo settimanale.
Questo pasticcio dovrebbe risolversi a breve, ma i lavoratori scendono comunque in piazza per rivendicare i propri diritti, che ritengono siano stati calpestati. A Palermo ci saranno anche i circa 30 lavoratori impiegati nel parco Kamarina Cava d’Ispica della provincia di Ragusa. Tutti sono delusi e amareggiati. “Ci hanno mandati al macello, ci hanno fatto mettere la faccia, abbiamo perso soldi, tempo sottratto alle famiglie, e con il nostro sacrificio – dicono – tutta la platea ha beneficiato dell’integrazione, mentre noi, al buio, abbiamo lasciato il privato sociale fidandoci ad occhi chiusi delle rassicurazioni. Ci siamo sobbarcati ogni genere di sacrificio: turnazioni, domeniche, festivi, gente che si fa fino a 100 km a spese proprie in strade spesso impossibili per andare a lavorare al freddo o sotto il sole cocente, sotto il sole e la pioggia, spesso buttati in una baracca o in una grotta. E ora – concludono – si permettono di tentare di sottrarci tutto”. I lavoratori Asu dei beni culturali siciliani si dicono dunque pronti a tutto per rivendicare i propri diritti.