Estorsione ai danni di marito e moglie: condanne a 34 anni

Corriere di Ragusa Cronaca

Estorsione ai danni di marito e moglie: condanne a 34 anni

RAGUSA – Il tribunale di Ragusa, in sessione collegiale, ha condannato i 5 vittoriesi arrestati il 10 gennaio dell’anno scorso dai carabinieri di Ragusa per estorsione continuata in concorso, aggravata dal metodo e dalla finalità di agevolazione mafiose, ai danni dei titolari di un’attività di ristorazione di Scoglitti. Le pene inflitte sono state di molto inferiori alle richieste della pubblica accusa, perché sono cadute le aggravanti e gli imputati sono stati assolti da alcuni singoli episodi. 7 anni di reclusione e 5.500 euro di multa (la richiesta era 15 anni) sono stati inflitti a Rosario Nifosì; 7 anni e 5.500 di multa (richiesta 15 anni) per Titta Ventura; 8 anni e 5.500 euro di multa (richiesta 16 anni) per Angelo Ventura; 9 anni e 6.000 euro di multa (chiesti 17 anni) per Massimo Melfi; 3 anni (richiesta 8 anni) per Marco Nuncibello, che al termine dell’udienza è stato rimesso in libertà. Il pm Alfio Gabriele Fragalà della Dda aveva chiesto 71 anni complessivi, il Tribunale li ha ridotti a 34. Secondo l’accusa i commercianti, marito e moglie, stanchi di pagare il “pizzo” per la protezione, aveva già versato 4.000 euro, nel 2020 denunciarono i fatti, facendo scattare le indagini.

I militari dell’Arma appurarono che i 5 indagati avrebbero richiesto, in più occasioni, ai titolari del ristorante il pagamento di alcune somme di denaro minacciando, in caso di diniego, di arrecare danni ingenti all’esercizio commerciale, sino a paventarne l’incendio. Le indagini, coordinate dalla Dda etnea e condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Ragusa, erano state avviate nell’agosto 2020, subito dopo la denuncia sporta dai 2 coniugi proprietari dell’attività di ristorazione. Gli indagati, dal 2014 e fino al 2020, in più occasioni avrebbero minacciato i 2 commercianti, facendo leva sulla capacità di intimidazione derivante dalla loro appartenenza a un clan mafioso e inducendo le vittime a versare ripetutamente somme di denaro per oltre 4.000 euro.

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