L’Accademia della Crusca sancisce il pareggio nel “derby linguistico” tra arancino e arancina. Nel libro “Giusto, sbagliato, dipende. Le risposte ai tuoi dubbi sulla lingua italiana”, i custodi della lingua italiana si sono espressi ed ai punti, non vince nessuno. Il nome della specialità siciliana – si legge nel volume – ha sia la forma femminile sia la forma maschile, determinata dall’uso diatopicamente differenziato: arancina rotonda nella parte occidentale e arancino, rotondo o a punta, nella parte orientale, con l’eccezione di alcune aree nella zona ragusana e in quella siracusana». Gli studiosi dell’Accademia fiorentina sono giunti a tanto parere dopo una ricerca approfondita: «Il Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi, stampato a Palermo nel 1857, è il primo dizionario siciliano che registra la forma arancinu, mentre nel Nuovo vocabolario siciliano-italiano di Antonino Traina, stampato a Palermo nel 1868, alla voce arancinu si rinvia a crucchè. La prima attestazione nella lessicografia italiana di arancino si trova nel Dizionario moderno del Panzini del 1942. Al dialettale aranci per arancia corrispondono per piccola arancia il diminutivo arancinu in dialetto e arancino nell’italiano regionale. Questa denominazione è quella che riportano i dizionari italiani e che è stata adottata dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali nella lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani. È la forma che il commissario Montalbano ha portato nei libri e in televisione e di conseguenza nella competenza di tutti gli italiani. Per quanto riguarda arancina, si può ipotizzare che il prestigio del codice linguistico standard, verso cui sono sempre state più ricettive le aree urbane, abbia portato la forma femminile arancia a prevalere su quella maschile arancio nell’uso dei parlanti palermitani: essi, avendo adottato la forma femminile per il frutto, l’hanno di conseguenza usata nella forma alterata anche per indicare la crocchetta di riso: dunque, arancina». «L’unica attestazione di arancina – scrivono ancora i linguisti della Crusca – si trova nella letteratura di fine Ottocento: le arancine di riso grosse ciascuna come un mellone dei Viceré del 1894, del catanese Federico De Roberto. Alla fine del secolo la variante femminile è stata registrata da Corrado Avolio nel suo dizionario dialettale siciliano di area siracusana e più tardi da Giacomo De Gregorio nei suoi Contributi al lessico etimologico romanzo con particolare considerazione al dialetto e ai subdialetti siciliani, in Studi glottologici italiani, 1920, che rappresentano l’area palermitana. Arancina è stata registrata anche dalla lessicografia italiana: dallo Zingarelli del 1917 e dal Panzini (1927); dopo però, così anche nell’edizione del 1942 del Panzini, non se ne ha più nessuna traccia (almeno fino ai dizionari più recenti), mentre vi si trova arancino».