Le “Sofferenze Urbane” di Mark Cannata: riflessione sul futuro delle città

Corriere di Ragusa Cultura

Le “Sofferenze Urbane” di Mark Cannata: riflessione sul futuro delle città

“Le città storiche hanno un valore duraturo come custodi di una coscienza collettiva. È un valore che è insieme distinto e indistinto, e nasce dalle misteriose tensioni sia dell’ovviamente fisico che di ciò che sentiamo sfuggente e numinoso. Gli edifici storici resistono alle erosioni di un’amnesia alimentata dalle velocità del consumo e dalle reinvenzioni compulsive dello spazio e del luogo”. L’architetto Mark Cannata interviene con un contributo scientifico nel libro “Sofferenze Urbane” e affida ai lettori una riflessione sul futuro delle città ma soprattutto sul loro “riuso” e sulla opportunità di non perdere la memoria stratificata nel tempo. E’ questo uno dei temi più ricorrenti dell’urbanistica contemporanea che dibatte sul come preservare l’identità coniugandola con la necessità del rinnovamento.

Scrive Mark Cannata: “Gli edifici storici sono frammenti di memoria in cui l’architettura svolge un ruolo come forma di espressione culturale significativa. L’architettura ha infatti il potenziale di trasmettere un senso di continuità temporale, storica e simbolica di fronte alla crescente globalizzazione, al corporativismo, alla svalutazione dei significati simbolici e soprattutto di manifestare il rapporto continuativo della città con il mondo naturale. In altre parole, di un disagio esistenziale legato al nostro rapporto con un mondo urbano percepito in contrapposizione con la Natura. Tuttavia, le città sono forse l’unica prova culturale con il potenziale per impartire un senso trascendentale e assoluto delle relazioni umane e spirituali con il tempo, la natura e l’architettura. In tal modo le città e i loro edifici storici hanno un valore duraturo come guardiani della coscienza collettiva”.

Sono riflessioni che dovrebbero essere approfondite da amministratori e legislatori quando non pongono freni e, anzi, favoriscono, l’edificazione in periferie anonime piuttosto che tutelare e riqualificare il patrimonio edilizio dei centri storici delle città. Per lo studioso anglo-italiano “Gli edifici storici ci attraggono perché agiscono a livello subconscio e ci fanno sentire parte di un continuum storico che ci lega ai nostri antenati in modo autentico e fisico. Possiamo analizzarli alla ricerca di informazioni oggettive o possiamo interpretarli per cercare di capirli razionalmente, ma la loro valorizzazione è più profonda e avviene a livello intuitivo ed emotivo. Sono forse l’unica prova culturale con il potenziale per impartire un senso trascendentale e assoluto delle relazioni umane con il tempo, la natura e l’azione architettonica nelle città. Hanno un potere perenne e sono un antidoto a una vita vissuta nel presente”.